Il bello dell’apprendimento

27/07/2020 • Articoli


È stata una coaching partner con cui ho lavoro all’inizio della mia carriera a condurmi per la prima volta all’incrocio tra le questioni aziendali e le categorie dell’arte. 

Direttrice di banca e scrittrice, aveva una sua strategia per i momenti in cui non riusciva a trovare la soluzione a un problema o non riusciva a sbloccare il flusso dei pensieri: si faceva una lunga passeggiata lungo il fiume della città in cui viveva, oppure tra i boschi delle montagne in cui era nata. Tra una sessione e l’altra del nostro percorso capitò qualcosa di ulteriore: l’insight per una certa decisione le si accese nella mente subito dopo la visita a una mostra di pittura (che nulla aveva a che fare con l’argomento in questione).

Ora, che mettere in movimento il corpo aiuti parecchio a mettere in movimento anche la mente non è una nozione particolarmente nuova. E anche quello di smettere per un po’ di pensare al problema onde consentire al cervello di lavorare liberamente nel “retrobottega” è un trucco conosciuto. Io stesso applico queste modalità da sempre, prima senza saperlo e oggi con precisa volontà e consapevolezza. È camminando che ho preso praticamente tutte le decisioni fondamentali sul mio lavoro, ed è così che elaboro le mie idee su progetti, articoli e post. Compreso questo che stai leggendo, la cui prima bozza è stata dettata allo smartphone lungo le viuzze del nucleo antico del paese in cui abito.

E qui sta il punto. Quello che ho rilevato - osservando la persona di cui sopra, nonché la mia stessa esperienza personale - è che il movimento “utile”, “produttivo”, sembra richiedere contesti ben precisi. Un ambiente naturale, ad esempio; o un ambiente antropizzato sì, ma carico di storia o di arte. Per dire: il mezzanino della metropolitana a Lambrate non è stimolante quanto una fermata della metropolitana di Parigi con i suoi fregi Belle Époque. O quanto piazza Gae Aulenti con la sua architettura futuristica.

Ci sono luoghi e oggetti che ci parlano, dei quali diciamo che hanno un’anima, che percepiamo come dotati di una identità, di una vita propria. E di solito sono questi che definiamo “belli”. Che cosa sia esattamente la “bellezza” è questione che impegna le menti umane dalla notte dei tempi, e dubito che si possa dare una definizione sintetica in una breve frase. Ma da queste osservazioni empiriche verrebbe da dire che la bellezza - naturale o creata dall’uomo - ha a che fare con l’apporto di un valore originale e universale: un “qualcosa in più e/o diverso” che in quanto tale, se ricevuto e accolto, mette in movimento quello che già c’è dentro di noi. Movimento, relazioni, connessioni, che poi non vagano a caso, ma vengono ricomposte in armonia sotto la spinta della nostra intenzionalità.

Da questi incontri - e relativi rimescolamenti e armonizzazioni - nascono consapevolezze, idee, progetti, desideri, conoscenze… Lo abbiamo vissuto poche settimane fa in occasione del Networking Weekend: ci è stato chiesto di indicare un’opera d’arte significativa per ciascuno di noi, argomentando la scelta, e questo ha portato una moltiplicazione di messaggi e contributi di ogni tipo ad ogni livello, provenienti dalla dimensione del Bello. E ciascuno ha preso - appreso - qualcosa di nuovo.

Connessioni, armonie, intenzionalità: sicuramente la Bellezza è anche molto altro, ma questi elementi sono ciò che la rende un motore di apprendimento, crescita, evoluzione.

 

Autore: Mattia Rossi, PCC

Volontario Area Comunicazione 2020

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