Iscriversi a ICF: come ma soprattutto perchè

16/04/2021 • Articoli


È successo giusto pochi giorni fa: per partecipare ad un intervento di coaching su larga scala in una grande azienda, mi è stato chiesto di produrre il certificato di iscrizione ad ICF, nonché gli attestati di frequenza ai corsi riconosciuti. Oltre naturalmente all’attestato riportante la credenziale PCC.

Nulla di nuovo, né di strano, anzi: da tempo è normale che le aziende si tutelino chiedendo gli elementi necessari a chiarire di che cosa si sta parlando e con quale livello di professionalità. Mostrare di essere saldamente e nettamente un coach ICF significa mettere in chiaro con gli interlocutori che cosa intendiamo per coaching, il che non è sempre scontato visto che questo termine ormai lo si trova usato da chiunque per le più svariate attività.

E significa che l’esperienza e la competenza del professionista non sono garantite da lui stesso medesimo (che sarebbe come chiedere all’oste se il suo vino è buono), ma da un soggetto terzo e autorevole. Il quale, inoltre, ha anche tracciato un perimetro ben preciso con le norme del suo Codice Etico, proponendosi in tal modo come garante per tutti gli aspetti del lavoro del coach.

Tutto questo influenza non poco le scelte dei clienti, e in molti casi per i professionisti fa la differenza tra l’essere presi in considerazione e l’essere scartati a priori.

 

A ben guardare, tutto ciò ha influenzato anche la mia scelta di buttarmi in questa professione, oltre dieci anni fa. Mi stavo guardando intorno per decidere che cosa fare nella seconda metà della mia vita e stavo scoprendo il coaching: il tipo di attività mi attirava molto, ma la presenza di una associazione professionale, e di respiro mondiale, ha avuto un peso decisivo nella decisione finale.

Mi dava l’impressione di poter contare su un punto di riferimento chiaro e affidabile nel momento in cui mi avventuravo in una dimensione totalmente sconosciuta. Usando il linguaggio che conosco oggi (e ai tempi non ancora): era come avere un coach pronto ad assistermi con la sua presenza verso gli associati, i suoi feedback e i suoi stimoli nuovi.

E così è stato, in effetti. Per me ICF Italia è stato uno strumento di conoscenza della professione e soprattutto di professionisti a cui riferirmi per chiedere informazioni, scoprire i segreti del mestiere, condividere esperienze, individuare maestri e mentori.

Ho sempre cercato di partecipare agli eventi associativi di aggregazione e aggiornamento: da quando sono associato credo di aver perso soltanto una delle conferenze nazionali (e di una mi è capitato addirittura di partecipare all’organizzazione), e sicuramente ho presenziato alla maggior parte degli altri appuntamenti, dal Networking Weekend al Coaching Expo fino ad un po’ di eventi locali (a cui mi è capitato di dare anche qualche mio contributo).

È stato così che ho capito in che cosa consistesse esattamente il coaching, scoprendone le differenti sfaccettature, sfumature e possibilità. Ho conosciuto diversi modi di interpretare questo lavoro e ho potuto farmi l’idea di quale stile era quello più adatto alla mia personalità, alle mie caratteristiche e alle mie aspirazioni.

Tutti gli anni, ad ogni Conferenza nazionale faccio il punto della mia evoluzione professionale: non so se qualcun altro ci ha fatto caso, ma quei modulini pensati per dare feedback ai relatori delle singole sessioni in realtà funzionano benissimo anche come spunto di riflessione per noi partecipanti. È davvero interessante e istruttivo notare come, di fronte alle domande che sono sempre uguali (ad esempio: “questo intervento mi ha fatto crescere come coach: per niente - abbastanza - molto”), cambiano anno dopo anno le mie percezioni, le mie reazioni, il mio osservarmi e “misurarmi” lungo la linea del tempo e, soprattutto, della maturazione professionale.

 

Sono dunque queste le argomentazioni che di solito mi vengono in mente per prime quando mi si chiede quali sono i benefici derivanti dall’essere iscritti ad ICF: sono i benefici di appartenere ad un’associazione che coltiva deliberatamente la propria presenza verso gli associati e che se da un lato conferisce autorevolezza sul mercato, dall’altro è innanzitutto uno strumento di crescita professionale. È un’autorevolezza vera, un’etichetta che non va disgiunta dai contenuti.

Non basta l’iniziativa dell’associazione, però: come in ogni relazione di coaching che si rispetti, è indispensabile anche l’iniziativa di noi singoli individui associati. Formalmente i requisiti per essere soci di ICF sono semplici e hanno un’aria molto burocratica: frequentare la formazione richiesta come quantità e tipologia, erogare un certo numero di ore di coaching professionale, mantenersi attivi nella formazione continua.

Ma come detto sopra, dietro l’etichetta formale non può non esserci un contenuto di valore. Tra le proposte di ICF Italia e quelle a livello globale, si sta sempre sulla frontiera più avanzata, per consolidare la professione senza mai smettere di innovarla.

Allora oso dire che i requisiti veri per far parte di ICF non sono quelli rispondenti alla contabilità oraria di studio e lavoro: si chiamano piuttosto curiosità, apertura mentale, desiderio di crescere continuamente, voglia di scoprire sempre nuove dimensioni e nuovi modi di interpretare questa nostra professione. Che è un po’ scienza e un po’ arte, ma sempre “presenza”!

 

 

Autore: Mattia Rossi, PCC
Volontario di Area Comunicazione 2021

Foto: Gerd Altmann from Pixabay

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