Riflessi di team. Come accompagnare un team a riconoscersi per evolvere

07/05/2021 • Articoli


Ho sempre considerato che parlare di coaching sia piuttosto semplice.

È una questione di filosofia di base, prima che di tecnica.

Si può diventare dei buoni coach se si sceglie di coltivare l’attitudine all’invito e all’offerta, piuttosto che quella all’indicazione.

 

“Invitare” e “creare partnership” sono quasi sinonimi. Invitiamo il coachee a dichiarare il tema di suo interesse e poi l’obiettivo che si prefigge. Offriamo feedback e comprensioni, dopo aver verificato se il cliente desideri ascoltarli, e lasciamo quindi che sia egli a dirci che cosa intende farsene. Invitiamo a prendere tempo, a considerare azioni, a valutare apprendimenti, se ve ne sono.

Da buoni allenatori buttiamo la palla nel campo del nostro partner perché possa esercitare (e scoprire) i propri colpi e definire così il proprio stile.

Insomma, il linguaggio interrogativo ed evocativo sono alla base del coaching. Quello indicativo, di contro, è alquanto poco adatto a un buon coach. Almeno a un coach ICF.

Ho appena dato un’indicazione.

Devo rettificare allora, se non voglio passare da coach scarso.

Il linguaggio indicativo, nella maggior parte dei casi, si adatta poco a un coach.

Poco a un coach one-to-one.

Un po’ di più a un team coach.

 

Sì, perché un team coach ha a che fare con un cliente tosto: un sistema.

Con i sistemi non si scherza. Hanno un carattere affabile, incline all’introspezione e all’ascolto del ciclope Polifemo. E come Polifemo, se già l’acume nell’osservazione non si può considerare come punto di forza, basta un nulla, un conflitto, perché la vista si perda completamente.

Fuor di metafora: se già l’individuo fa fatica a osservarsi e a creare un po’ di prospettiva da solo, scoprendo in autonomia le proprie caratteristiche, risorse e dinamiche tipiche, per i sistemi questa è quasi sempre un’impresa titanica. Anzi, ciclopica.

 

I sistemi – ed i team lo sono – raramente sanno leggersi, comprendere le proprie dinamiche che attuano.

Per un team è importante essere visto da occhi esterni, del coach, ad esempio.

Come nella fiaba di Andersen 'I vestiti nuovi dell'imperatore', il team coach deve avere la lucidità, il coraggio e il tempismo per saper dire, con chiarezza, quando serve: “il re è nudo!”

 

Accanto alle competenze tipiche del coach one-to-one e al suo bel linguaggio interrogativo-evocativo, il team coach deve dichiarare ciò che osserva quando affianca il proprio re (il team) in azione: permettere di scoprire i vestiti che indossa è il suo compito principale. Svelare il sistema al sistema. Dopo, si potrà tornare all’invito di considerare quali nuovi abiti, azioni e interazioni il team vorrà realizzare per raggiungere i propri obiettivi.

ICF ha ufficialmente riconosciuto la suddetta “attitudine indicativa” nella nuova (e prima) versione di recente rilascio (Nov. 2020) delle competenze chiave nel Team Coaching.

Leggiamole con attenzione e prepariamoci ad affiancare i nostri clienti-team nell’avvincente viaggio alla scoperta di sé.

 

Massimiliano Cardani, MCC ICF

Relatore alla Masterclass “Riflessi di team. Come accompagnare un team a riconoscersi per evolvere" – 22/04/2021

Riflessi di team. Come accompagnare un team a riconoscersi per evolvere